Fr Fabrizio Di Fazio, missionario della misericordia

Il 10 febbraio 2016 presso la Sala Regia del Vaticano Papa Francesco ha ricevuto i missionari della misericordia provenienti da tutto il mondo, scelti dalle proprie diocesi di appartenenza o dai propri ordinari.

Per grazia di Dio ho potuto godere dell’onore di essere annoverato tra questi fratelli per essere stato scelto dal mio ministro provinciale fr Carmine Ranieri.

In qualità di membro dell’equipe nazionale SESA Italia è stato ulteriore motivo di grazia ricevere tale mandato dal Santo Padre, conferma per la nostra Scuola di essere sempre eletta da Dio per l’annuncio della Sua infinita misericordia.

Dei 1142 missionari previsti ne sono pervenuti 726, e hanno ricevuto il mandato ufficiale al termine della celebrazione eucaristica delle Ceneri presieduta dal Santo Padre.

Nel corso della bellissima udienza, precedente la celebrazione, Papa Francesco ha ricordato che tale “segno di speciale rilevanza” che caratterizza il Giubileo, “permette in tutte le Chiese locali di vivere il mistero insondabile della misericordia del Padre”.

E Dio non ama secondo “il nostro modo, sempre limitato e a volte contraddittorio”, ma secondo “il suo modo di amare e perdonare, che è appunto la misericordia”.

Francesco ci ha raccomandato di esprimere la “maternità della Chiesa”, la quale continuamente genera “nuovi figli nella fede”. La Chiesa, quindi, è “madre” perché “nutre la fede” ed “offre il perdono di Dio,  rigenerando a una nuova vita, frutto della conversione”.

Secondo il Pontefice, non si può affatto “correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama”. Se, al contrario, prevalesse la “nostra rigidità”, sarebbe “un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo”, limitando anche “il suo sentirsi parte di una comunità”.

“Entrando nel confessionale – ha proseguito – ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace”.

Sono proprio i ministri di Dio ad aver “bisogno di essere perdonati da Lui” e, qualunque peccato essi assolvano, sono chiamati a “ricordare la propria esistenza di peccatori e a porsi umilmente come ‘canale’ della misericordia di Dio”.

Particolarmente toccante la testimonianza dello stesso Santo Padre quando ha rievocato con gioia” la sua confessione più importante: quella fatta a 16 anni, il 21 settembre 1953, che orientò la sua vita verso la vocazione sacerdotale. “Cosa mi ha detto il prete? Non mi ricordo” – ha raccontato a braccio -. Solo mi ricordo che mi ha fatto un sorriso e poi non so cosa è successo”.

Ogni confessore dovrà sempre saper guardare al “desiderio di perdono presente nel cuore del penitente”, alla sua “nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa”. Tale desiderio si rafforza in modo particolare “quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più”.

C’è poi una componente della quale “non si parla molto, ma che è invece determinante” e che Francesco ha indicato nella “vergogna”. Non è infatti facile confessare il proprio peccato a un altro uomo, “pur sapendo che rappresenta Dio”. Tale sentimento di vergogna, che si riscontra già in Adamo ed Eva, dopo il compimento del peccato originale (cfr Gen 3,7-10) “richiede  da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento”. Un buon confessore dovrà “capire non solo il linguaggio della parola, ma anche il linguaggio dei gesti”.

È ancora l’Antico Testamento a raccontare un analogo e sorprendente episodio: quello dell’ubriachezza di Noé, che arriva a “venir meno alla propria dignità, fatto che la Scrittura esprime con l’immagine della nudità”, prima che due dei suoi tre figli decidano di prendere il mantello per coprirlo “perché ritorni nella dignità di padre (cfr Gen 9,18-23)”.

Chi confessa, dunque, dovrà sempre tener conto che davanti a sé, non ha “il peccato, ma il peccatore pentito”, vale a dire una persona colma di vergogna e desiderosa di “essere accolta e perdonata”.

Nessuno di noi, allora, è chiamato a “giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato – ha spiegato il Santo Padre -. Al contrario, siamo chiamati ad agire come Sem e Jafet, i figli di Noè, che presero una coperta per mettere il proprio padre al riparo dalla vergogna”.

Amministrare la confessione “secondo il cuore di Cristo”, equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale”.

Non è certo con la “clava del giudizio”, che si potrà “riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa” e che porta su di sé “il peso di chi è più debole”, consolandolo “con la forza della compassione”.

Nel concludere la sua meravigliosa esortazione, il Santo Padre ci indicava l’esempio di San Leopoldo Mandic e San Pio da Pietrelcina, due “santi ministri del perdono” che, “nella loro vita  hanno testimoniato la misericordia di Dio”.

“Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore che non conosce confini”.

Fr Fabrizio